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FRANCISCO GOYA |
Biografia |
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L’ossessione onirica nelle opere di Goya |
Dopo una prima fase dedicata a pittura religiosa, ritratti e arazzi con scene campestri e di festa, Goya, dalla fine del Settecento, inclina allo “scuro”, al cupo. In questo periodo, tra il 1819 e il 1823, egli è ormai completamente sordo e, ritiratosi in una casetta nei sobborghi di Madrid, visse isolato, dando origine a quattordici dipinti ad olio (dipinti sulle mura di casa) di vario formato, che segnano il culmine delle sue così dette “pitture nere”. In queste pitture, ma anche nelle sue incisioni, egli illustra un mondo contraffatto, caotico, sconvolto, che emana un senso di terrore. Il colore dominante è il nero, utilizzato principalmente per gli sfondi, mentre gli altri toni vanno dal grigio al marrone; i soggetti scelti sono scene di follia, in cui vengono rappresentati incubi, orrori, vicende sinistre e tenebrose, riti stregoneschi, violenti episodi dell’Inquisizione o della guerra. I mostri che compaiono nelle sue opere (famosa la didascalia “Il sonno della ragione genera mostri”) altro non sono che i risvolti violenti e inquietanti della psiche, fantasmi interiori, che Goya vuole portare alla luce. I personaggi appaiono sfigurati, deformi, con i tratti del volto orridi e grotteschi, i volti sono in genere bestiali, resi ancora più terribili da ghigni o smorfie. |
"IL SONNO DELLA RAGIONE GENERA MOSTRI"
(1799 acquaforte; cm 21 x 15) |
L'incisione di Francisco Goya Il sonno della ragione genera mostri (1797-1799), realizzata con le tecniche dell'acquaforte e dell'acquatinta, fa parte della serie intitolata Capricci, nella quale il grande pittore spagnolo espresse una ferma condanna all'oppressione del potere, all'ottusità della superstizione e a ogni forma di sopraffazione, dando vita a immagini di potente suggestione. |
"IL SABBA DELLE STREGHE (IL GRAN CAPRONE)"
(1820-23 Olio su intonaco montato su tela; 140 x 438 cm Museo del Prado, Madrid) |
Una fra le pitture più celebri del pittore spagnolo. Qui la figura diabolica del caprone si staglia su un assembramento indistinto di teste mostruose, scimmiesche (quasi un cumulo di teschi), contratte in smorfie. Il bianco degli occhi spicca a tratti sull’ammasso cupo. Goya, che non credeva all’esistenza della stregoneria, considerava quello che lui riteneva il mito del culto delle streghe come un’espressione del male che si annida nella mente di ogni essere umano.
Baudelaire, in “Fari” (ne “I Fiori del Male”), descriveva così la pittura di Goya:
Goya: incubo colmo d’arcani senza fine; feti cotti in un sabba, su qualche orrida balza; laide streghe allo specchio; ignude ragazzine che per tentare il diavolo si tiran su la calza. |
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Percorso interdisciplinare di Pamela De Pasquale Anno Scolastico 2004-2005 Liceo Scientifico "G.Oberdan" Trieste |