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Introduzione

Fu così che in quell’afosa mattina di luglio, Berthon e il suo mulo arrancavano per l'ultimo tornante della montagna ed apparve maestoso il monastero.
Berthon giunse dunque al monastero. Al di sopra del maestoso portale d'ingresso era inciso il motto che improntava la vita degli abitanti di quel luogo sacro: ORA ET LABORA / E SE NO STA FORA.
Sulla soglia l'abate Echus stava aspettando Berthon; accanto a lui due novizi sorreggevano una bacinella d'oro colma d'acqua; l'abate lavò le mani al giovane ospite, poi lo abbracciòٍ, lo baciò sulla guancia e gli diede il suo benvenuto:
- Bene arrivato Berthon, una lettera di tuo padre mi ha informato della tua venuta. Spero che la visita al monastero ti aiuti a diventare più buono e più saggio, così che quando tornerai a casa non aggiungerai più lo sciroppo alla menta al minestrone della mamma né metterai le lucertole nelle pantofole del papà.
Dopodiché l'abate accompagnò Berthon a visitare il monastero.
Oltre il grande portale d'ingresso si apriva un viale alberato che conduceva dritto alla chiesa dell'abbazia, e fu su questa strada che il ragazzo e l'abate si incamminarono.
A sinistra del viale si stendeva una vasta zona di orti ed il giardino botanico dove venivano coltivate le erbe medicinali. Così indicava Echus al suo giovane ospite:
- Ecco l'Humulus lupulus che cura le unghie incarnate, più in là c'è la Discolea batatas che cura la studiofobia; il Triticum aestivum cura invece i colpi di sole; con la Cidonia oblonga si medicano i calli degli scrivani.
Più oltre il ragazzo notò un altro edificio .
-Quello è l'Ospedale - spiegò Echus- che comprende anche l'erboristeria dove vengono preparate le medicine con le piante miracolose che ti ho mostrato prima.
Percorso il viale, Berthon si trovò di fronte alla grande e imponente chiesa dell'abbazia.
A destra della chiesa si estendevano alcune costruzioni che costeggiavano a loro volta il chiostro dove i monaci prendevano il sole d'estate.
- E là chi ci abita?- chiese Berthon indicando un altro edificio ancora.
-Quella è la casa dell'abate, che sarei io; quelli sono i dormitori con le celle dei monaci e infine c'è la casa dei pellegrini dove alloggiano gli ospiti come te.
Sul lato destro, lungo le mura meridionali, l'Abate indicò con orgoglio al ragazzo una serie di quartieri colonici: le stalle, i mulini, i frantoi, i granai e le cantine.
- In questo monastero non manca proprio nulla! Possiamo non solo sfamare i contadini che lavorano con noi, ma chiunque bussi alla nostra porta in cerca di cibo viene soddisfatto.
Era ormai giunta l'ora sesta, l'ora del pranzo, e tutt'intorno si poteva notare un andirivieni di monaci indaffarati: per loro la giornata era iniziata con il sorgere del sole, quando si erano radunati per cantare le laudi.
Nel convento i momenti di preghiera si alternavano alle ore di lavoro con brevi pause solo per i pasti frugali.
Sul fondo, a sinistra della chiesa, si ergeva l'Edificio della Biblioteca:
- E' là che ti porteròٍ ora- disse L'Abate rivolgendosi al ragazzo più che mai incuriosito.
-Che edificio straordinario! Non somiglia di certo ad una Biblioteca di mia conoscenza ... pensò Berthon. La Biblioteca del monastero aveva infatti ben dieci pareti alte lisce e uguali, interrotte solo da grandi finestre dai vetri colorati; al posto del tetto aveva una grande cupola di vetro trasparente.
Varcarono dunque la soglia della Biblioteca: il grande portale in legno massiccio, la cui chiave di volta recava incisa la misteriosa parola ACETO IL BIB, si aprì con uno stridente cigolio.
Berthon trattenne a stento un grido di meraviglia: ai suoi occhi si spalancò in tutta la sua vastità una sala luminosissima. Il bimbo, girandosi attorno, osservòٍ ch'era formata da nove pareti, in ciascuna delle quali si apriva una porta; a loro volta le nove porte culminavano in altrettante finestre alte e arcuate da cui penetrava la luce. Nello spazio libero delle pareti si addossavano pesanti scaffali in legno di noce intagliato, alti fino a toccare il soffitto, ripieni di libri, anzi libroni: avete presente i volumi Treccani?, bene, grossi il doppio, pesantissimi perché rilegati in cuoio e preziosissimi con le loro imprimiture d'oro.
-Ma sembrano tutti uguali, se non fosse per un numero che recano sul dorso!- esclamò Berthon.
- Qui siamo nello scriptorium della Biblioteca, la sala dove si trovano le grandi opere di cultura generale e dove ci si può fermare a studiare.
Al centro della sala si allungavano quattro file di scrittoi su cui erano chini alcuni monaci, intenti chi a scrivere, chi a leggere, chi a consultare un volume. Berthon passò loro vicino e ad un tratto scoppiò in una sonora risata: muso allungato, orecchie appuntite, avevano tutti una incredibile somiglianza con i Libercolini, quei topi di biblioteca di cui gli aveva tanto parlato l'insegnante.
- Non c'è nulla da ridere- lo rimproverò aspramente Echus. - Costoro sono i monaci amanuensi, e non devi disturbarli nel loro lavoro.
- A manu che?
- Gli amanuensi, gli scrivani che copiano a mano i testi antichi. Ci vorrà un bel po’ٍ prima che inventino la stampa. Vedi, Rosolinus sta copiando i testi foderati di seta rosa, Rimus i libri di rime, Enciclopendolon i volumi grossi di questa sala...
- E quello strano monaco laggiù, con quel trespolo di vetro sul naso, chi è?
- Quello è Malachia de Sventuris, l'uomo più sapiente del monastero, e sul naso ha gli occhiali, l'invenzione del secolo per vederci meglio- rispose Echus.- Malachia è un uomo molto severo, in Biblioteca pretende l'assoluto silenzio e non permette ai bambini di restare nello scriptorium. Perciòٍ, svelto, infiliamoci qui dentro- Ed Echus spinse il suo piccolo amico nel più vicino dei nove ingressi che si aprivano nella sala centrale. Iniziò per Berthon la scoperta delle nove sezioni della Biblioteca.
- Ma qui è tutto grigio!- L'osservazione di Berthon era esatta: le pareti erano tappezzate da scaffali grigi e questi a loro volta pieni zeppi di libri di colore grigio.
- Questo è il tempio del pensiero - sentenziò Echus. Qui sono depositate le opere di grandi sapienti che hanno trascorso la vita a spremere le cellule grigie della loro mente, Aristotele, Abelardo... Ma già Berthon non stava più ad ascoltarlo; era attratto da una tipa niente male, dall'aria un po’ svampita, indaffarata a sfogliare un librone dal titolo indecifrabile di Tractatus Logico-Philosophicus di Venacio Patricio Belcio, kg 18. Il ragazzo avrebbe voluto avvertirla cha stava sfogliando le pagine al contrario, ma Echus l'aveva già introdotto nella saletta successiva, collegata alla precedente da una porta. Piacque subito a Berthon questa sala dai libri tutti di colore azzurro.
- Sono libri sui signori dell'Olimpo, sugli abitanti del cielo, sui misteri divini, sui miti dell'antichità. Berthon fu attirato da un libretto dal titolo Il mito di Theo; gli sembrava gli ricordasse qualcosa, ma...
- Che gran disordine!- esclamò il ragazzo: la stanza successiva si presentava infatti peggio della sua camera da letto. Ingombra di carte, scartoffie sparse sullo scrittoio, volumi messi a casaccio negli scaffali. Da un monte di leggi- Lex Pietrina, Lex Scalfariana, Lex Berlusca- ammucchiato sullo scrittoio, emerse d'un tratto un omino, all'apparenza serio e distinto, anche lui col trespolo di vetro sul naso, che fece un sorrisetto a Berthon e si rituffò nelle sue carte.
- La stanza in cui stiamo per entrare adesso - spiegava con aria professorale Echus - raccoglie le grammatiche e i dizionari delle lingue prima e dopo Babele, per imparare ad esprimerci meglio, proprio come vuole...
- La mia professoressa! – gridò Berthon. - Cosa ci sta a fare qui quella megera?, no, grazie, io non entro, passiamo pure alla prossima sezione.
Pochi libri, grossi e neri, e tante ampolle, ampolline ed alambicchi.
- Questo sembra il laboratorio di Amelia, la strega che ammalia. (Le streghe, si sa, esistevano anche nel Medioevo, ai tempi di Berthon).
- No, è quello di Danusia Topazia, l'alchimista del monastero; qui si preparano i filtri, i medicinali. Vedi quei testi lassù?: sono tutti di scienza, matematica.
Berthon non non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto a sentir parlare di matematica!
- Danusia - proseguiva intanto Echus - lavora nella stanza accanto a quella di Elettricitone, l'inventore testone, e spesso litigano, allora sì che sono fuochi e scintille. Ma ora ti porto in un'altra stanza che ti piacerà di più.
Come socchiusero la porta, si trovarono dentro un arcobaleno. Soffitto, scaffali e soprattutto libri: tutto era variopinto. Al centro, una fanciulla dai lunghissimi capelli setosi come pennelli mescolava colori su una tavolozza per poi dare un ritocco a questo libro su Giotto e a quello su Michelangelo...
- Ma ti stupirà ancor di più la stanza dei poeti.- sorrise Echus.
Come entrarono, furono infatti accolti da un minuscolo esserino vestito di verde che, saltando dalla Commedia di Dante al Rimario di Fiore, cantava allegro:
"Benvenuti a lor signori /pace e gioia nei loro cuori / questo è il regno di poesia / versi e rime son casa mia / il mio nome / tutti lo san /sono Peter detto Pan!
- In questa Biblioteca, sempre che si tratti davvero di una Biblioteca, son tutti matti! – pensò Berthon.
Infine giunsero nell'ultima sala.
- E' detta sala del mappamondo - lo informò Echus - perché come vedi al centro è poggiato un mappamondo antichissimo. Berthon notò negli scaffali parecchi atlanti, quelli dei mondi conosciuti e quelli dei mondi misteriosi, guide turi-mistiche ai monasteri d'Europa, mappe appese alle pareti.
-Ora che ti ho fatto visitare le nove sale, possiamo andarcene - disse Echus rientrando nello scriptorium. Ma non ottenendo alcuna risposta dal ragazzo, si voltò di scatto e fu così che si accorse di aver perso il suo compagno. Berthon doveva essere rimasto in una delle sale, ma dove?