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Molti lo sanno, qualcuno forse no, altri non avranno mai sentito parlare di lui…

E’ passato a miglior vita Franz…un pioniere del tatuaggio.

Viveva all’estero da circa 15 anni. Più volte era giunta la  notizia, sempre smentita, di una sua morte prematura. Franz era il mio amico e socio di un tempo, di una particolare epoca che è davvero difficile da spiegare.

Da quando la madre mi ha dato la conferma e ha fatto giungere a Trieste le spoglie, non ho più potuto sperare che fosse la solita voce messa in giro dal solito idiota di turno.

Da allora per parecchi mesi, il pensiero correva spesso a Franz, a tutte le volte che ero stato in procinto di partire per fargli visita a Cartaghena (COLOMBIA), ad ogni razionale motivo che mi aveva indotto a rimandare il mio viaggio, demordendo dal mio intento. 

Ricordavo i vecchi tempi, quando dopo un viaggio in Australia nel 1984, decidemmo di aprire quello che sarebbe diventato il primo Tattoo Studio su strada d’Italia.

Erano tempi spensierati: i tatuaggi di quel tempo avevano il fascino del proibito, un senso di profonda ribellione, che gridavano libertà.

Ricordavo, come in un film, l’espressione incredula della gente, i bisbiglii del vicinato pieno di pregiudizi, le navi americane che  procuravano, in pochi giorni, dei guadagni impensabili per quell’epoca. La faccia attonita del bancario a cui chiedevo di cambiare in lire, pacchi di dollari sdruciti. Un anonimo volto dallo sguardo malsano che nonostante gli sforzi compiuti, non riusciva a far segreto dei suoi pensieri: come me li ero procurati?

Pensavo alle nostre, rare, ma lunghissime, telefonate oltreoceano, e a come ridevamo sguaiatamente dei nostri alti e bassi, delle nostre difficoltà a relazionarci con il denaro, di quanto ne avessimo sperperato, del fatto che probabilmente eravamo gli unici tra i “vecchi colleghi” a non aver messo via un centesimo in vista del futuro.

Chissà se avevamo torto o ragione. Ma poi, chi avrebbe potuto stabilirlo?

Pensavo a quando eravamo solo in quattro gatti a camminare per Barcola (la riviera triestina), con le prime nostre creazioni sulla pelle. 

Stupore, curiosità, timore… queste erano le reazioni dei passanti, che in noi facevano crescere sempre di più la ferma convinzione che bastasse assai poco per uscire dagli schemi tradizionali per sentirsi vivi, unici, come unici erano i nostri, spiriti indomiti, le nostre anime.

Pensavo a quanto ci piacesse pulire lo studio, o a quanto ci divertissimo nel creare nuovi disegni. Ci torturavamo reciprocamente nel sperimentare di quanti millimetri  dovevano fuoriuscire gli aghi dal puntale; cercavamo di capire perchè certe righe  venivano meglio in un modo, piuttosto che in un altro, o, ancora, cercavamo di scoprire il motivo per cui certi aghi si attaccavano alla barra con lo stagno ed altri no.

Vivevamo la magia dell’essere pionieri in un mondo dove l’indirizzo della Spaulding era quasi sconosciuto.

Ogni piccola scoperta era per noi un grande evento! Eravamo talmente inebriati e felici di aver trovato  un lavoro che ci piacesse, da sentirci quasi catapultati in un contesto magico!

Sono stati in pochi a conoscerlo, e, solo la “pellaccia” vissuta di alcuni vecchi amici, reca la firma di Franz, rivelandone la sua  natura.

Nell’epoca degli anni ottanta, era solo lui, a credere più intensamente di me, che del tatuaggio avremmo potuto fare la nostra professione, nonché, contagiare i giovani nell’adottare stili di vita volti al raggiungimento della più totale libertà.

Nella stessa riviera, che 20 anni prima ci metteva al bando per il nostro aspetto selvaggio, è facile incontrare ancora qualche giovane che rechi sulla pelle qualcosa di nostro. Merito o demerito, una buona parte è del buon Franz.

Tra i vecchi tatuatori che ho conosciuto, c’era chi lo ricordava bene.

Maurizio Fiorini era uno di questi con Nando di Torino. Questi mi chiese sue notizie alla Convention di Roma del 1994, e allora mi bastò questo per avere il libero accesso a quel circolo….così chiuso e riservato rappresentato dalla categoria dei tatuatori. Franz, in qualche forma, era sempre con me.

Allora non si poteva immaginare a che livelli l’arte del tatuaggio sarebbe giunta, era fantascientifico pensare che il fenomeno sarebbe dilagato alla decima potenza. 

Io non credo alla morte forse per la mia stessa natura e forse per tutte le dottrine filosofiche di cui sono imbevuto, ma so, comunque, che non rivedrò più il mio caro amico.

So che non potrò più fare quel tanto desiderato viaggio per incontrarlo.

Non potremo più lavorare assieme, incontrarci a qualche Convetion, o berci un buona birra, come eravamo soliti fare.

So per certo che con lui, con il buon Nando di Torino, e con altrettanti colleghi passati a miglior vita, l’era pionieristica italiana dei tatuaggi è terminata.

Unica, particolare ed irripetibile. Un’era che solo pochi privilegiati possono dire di avere vissuto, respirato, amato, anche se sono in molti a volersi ergere a fautori della stessa, “inzuppandovi il pane” a suon di frasi lette o udite da qualche parte. Parole sterili, parole che non vengono dal cuore…

Fu un’epoca quella, la nostra, facile da comprendere solo per chi la visse. 

Il destino “bizzarro”, ha voluto che tutte le nostre vecchie foto, i nostri  lavori di un tempo che in molti colleghi si vergognerebbero magari di mostrare, siano rimaste in un container di 48 piedi, pieno di tutta la mia vita trascorsa  in USA, per cui non posso far vedere che poche immagini dei suoi vecchi lavori.

Immagini che hanno mantenuto nel tempo, per chi sa ricordare la gioia con cui aveva  lasciato lo studio, il fascino di una traccia cruda, decisa, “pionieristica”. 

Io vorrei che tutti coloro che portano un tatuaggio e che amano quest’arte si sentissero in qualche modo amici di quel figlio, perché in maniera più o meno diretta, quell’uomo ed altri suoi simili, hanno fatto la storia del tatuaggio in Italia.

Se oggi gli addetti ai lavori, riescono a percepire lauti guadagni, unitamente alla fama, e al successo costituendo Associazioni, facendo conventions e quant’altro, ciò lo devono in parte anche a lui. 

Non vorrei dipingere Franz come fosse stato un santo o un eroe, perché di certo nessuno di noi due lo è mai stato. Semplicemente, vorrei che venisse ricordato com’era. Far sapere quanto importante e forse immeritatamente impopolare sia stato quest’uomo nel contesto di questo particolare mondo. 

Credo che, all’epoca, nessuno fosse consapevole di quale straordinario impatto il tatuaggio avrebbe avuto in futuro, incidendo profondamente nel costume della società, condizionando e divenendo allo stesso tempo manifestazione simbolica del pensiero, esternazione artistica dell’anima nel corpo, per intere generazioni di giovani.

Niente succede per caso e meno che meno ciò che stò raccontando. L’amarezza più grande è il constatare che le battaglie vissute da dei vecchi pionieri vengano sfruttate e manipolate da tanti piccoli sciacalli, individui che di certo non appartengono nostro mondo.

Credo che oggi il tatuaggio entri, come del resto tutto ciò che  esiste al mondo, in una nuova era, in una nuova dimensione.

In quest’era che in certi contesti appare, più opportunista, meno selvaggia, con troppe regole, forse la nostra coppia  non avrebbe avuto senso ne motivo di esistere, forse, al giorno d’oggi, non ci saremmo nemmeno divertiti.

Il destino mi ha lasciato solo, testimone a cavallo tra due mondi, di una realtà che avevamo costruito insieme 21 anni fa.

Di certo immaginarmi Franz a parlare con l’assessore alla sanità, o a mantenere relazioni con la stampa specializzata o meno, o a seguire complesse contabilità e normative incerte, non mi riesce semplice. Non a caso noi abbiamo funzionato e siamo rimasti uniti solo fin tanto che non c’era ne fama ne successo nel nostro mondo, fin tanto che c’era genuinità, amicizia e tanti casini.

Non per essere nostalgici o retorici, ne per apparire come un vecchio malinconico, ma và davvero detto che insieme a Franz se ne và una parte di me stesso e del mio vissuto passato.

Ed io benedico tutto ciò.

 

 

agosto 2005

 


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