IL FASCISMO
Il fascismo è un movimento
politico che si origina nel nostro paese come reazione e conseguenza della
grave crisi politica ed economica seguita alla Prima Guerra Mondiale. Dopo
la fine vittoriosa della guerra infatti, anziché godere dei frutti della
vittoria, il paese si era trovato a fronteggiare una situazione
difficilissima: tensioni e contrasti interni, maturazione politica dei ceti
più poveri, dissesto delle finanze pubbliche, aumento dei prezzi,
disoccupazione. L'inefficienza economica stimolò il rafforzamento dei
partiti di massa con una forte crescita dei socialisti, soprattutto fra gli
operai, e un'affermazione del Partito Popolare fra i cattolici dell'ambiente
contadino; in questo sconvolgimento sociale nacque e si andò affermando il
movimento fascista. Già nel 1915 Mussolini, leader del fascismo, aveva
fondato i “Fasci d'azione rivoluzionaria“, con scopi puramente
interventistici, come risposta al neutralismo socialista che lo aveva
costretto ad abbandonare il partito dove aveva fino ad allora militato. La
prima cellula di quel movimento che si trasformò in Partito Nazionale
Fascista, fu però “Fasci italiani di combattimento“, fondato a Milano il 23
marzo 1919 dallo stesso Mussolini; alla riunione di Piazza San Sepolcro a
Milano parteciparono un centinaio di persone e questi primi fascisti furono
chiamati sansepolcristi. Il movimento aveva un programma vago ed era alla
ricerca di un'ideologia; tentava di fondere i motivi nazionalistici, cari
soprattutto agli ex-combattenti (“nuclei di ex-arditi“), con la polemica
contro l'inefficienza del parlamentarismo, che trovava facili consensi
anche negli ambienti piccolo-borghesi. “Noi ci permettiamo di essere
aristocratici e democratici, conservatori e progressisti, reazionari e
rivoluzionari, legalisti e illegalisti a seconda delle circostanze di tempo,
di luogo e di ambiente“, dichiarò Mussolini il quale, oltre a interpretare
gli ideali patriottici, voleva conquistare i favori dei gruppi dominanti del
padronato industriale e dei proprietari terrieri, sempre più intolleranti
verso le manifestazioni popolari e pronti ad appoggiare chiunque fosse
disposto a usare la “mano forte“. Così, nel giro di pochi mesi, la
propaganda fascista conquistò terreno senza far segreto di una volontà
autoritaria e antidemocratica, sfruttando il malcontento generale. Il
fascismo infatti, nella misura in cui rifiutava ogni piattaforma di lotta
fra le classi e faceva appello al principio della superiore “unità
nazionale“, parve inizialmente fornire un'efficace alternativa tanto alla
debolezza della classe politica (dilaniata da contrasti interni che
mettevano capo a continue crisi di governo), quanto al “sovversismo rosso“.
Ma proprio l'esaltazione di un ipotetico “primato nazionale“, da raggiungere
non più nel segno di una politica liberale, ma attraverso un esplicito
rifiuto degli ideali democratici e una vigorosa difesa della “diseguaglianza
irrimediabile e feconda e benefica degli uomini“, accentuò i metodi della
violenza fisica, con l'intervento delle “squadre d'azione“, che si diffusero
alla prima sconfitta politica del movimento nelle elezioni del 16 novembre
1919: il fascismo riuscì infatti a presentarsi solo a Milano. Certamente il
movimento pagò anche l'appoggio all'impresa di Fiume, che non trovò eco in
un'Italia stanca di imprese belliche. Intanto i fasci furono costituiti
anche a Genova, Bergamo, Verona, Treviso, Napoli, Pavia, Brescia, Cremona,
Trieste, Parma, Bologna, Roma. L'alta industria aveva trovato nel fascismo
la forza da opporre alle rivendicazioni operaie (che raggiunsero il vertice
con le occupazioni delle fabbriche nel 1920), infatti divenne lo strumento
della reazione e sviluppò massicci attacchi contro gli avversari
(soprattutto i socialisti e i cattolici-popolari). Giolitti, reputando che
il fascismo sarebbe stato un fenomeno transitorio, consentì alla sua
strumentalizzazione per spegnere la carica rivoluzionaria dei socialisti.
Ma
il movimento fascista divenne partito nel novembre 1921 e cercò di darsi una
dottrina; Mussolini, prima di puntare decisamente al potere, tentò la
politica delle alleanze: entrò, per le elezioni del 1921, nei “blocchi
nazionali“ giolittiani e cercò l'alleanza con i socialisti e i popolari. Il
patto di pacificazione con i socialisti (agosto dello stesso anno) non
convinse i fascisti intransigenti quindi rappresentò una parentesi
brevissima, ripresero scontri e lotte e il fascismo, nuovamente autonomo, si
appoggiava ai liberali, convinti e fiduciosi che il movimento di Mussolini
avrebbe restituito a molti il senso dello stato. E infatti Mussolini espose
nella sua Dottrina del fascismo una concezione dello stato che sembrava
riallacciarsi al pensiero risorgimentale, nutrito di concetti idealistici
hegeliani (accolti del resto dallo stesso Croce, che non intuì subito la
minaccia del fascismo e lo vedeva solo come una forza nuova capace di dare
un apporto risolutivo e vivificante). Ma lo Stato fascista andrà contro la
concezione risorgimantale e liberale che nello Stato vede l'organo supremo
per garantire la libertà individuale; il fascismo pretende di costruire uno
Stato che annulli ogni individualità a favore della priorità assoluta di
affermare il primato del dominio e della forza. L'assolutismo dello Stato
diventa facilmente unicità di potere, volontà di uno (subordinazione
assoluta alla volontà del capo per il bene della patria). La “marcia su
Roma“ (28 ottobre 1922) non fu tuttavia la conquista del potere, ma il
cammino verso il potere e, mentre socialisti e comunisti si schierarono
subito all'opposizione, molti liberali e popolari si illusero di poter
controllare l'ascesa del fascismo. Il primo governo di Mussolini, formato da
fascisti, liberali, popolari e indipendenti, poté così ottenere una larga
maggioranza alla Camera. Cominciò lo svuotamento delle istituzioni
parlamentari a l'avvio a uno stato dittatoriale con l'inquadramento delle
camicie nere nella “Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale“ (vero
esercito di partito messo direttamente “agli ordini del capo di governo“) e
con la creazione del Gran Consiglio del fascismo (11-14 gennaio 1923),
destinato nel 1928 a diventare l'organo supremo che avrebbe coordinato tutte
le attività del regime. Inoltre, la riforma elettorale del 1924, con la
legge Acerbo che riduceva la rappresentanza dell'opposizione, accentuò le
violenze e i brogli elettorali fascisti, che il deputato socialista G.
Matteotti denunciò alla Camera e l'atto coraggioso gli costò la vita a opera
di alcuni sicari fascisti (10 giugno 1924). Questo gesto provocò lo sdegno
dell'opinione pubblica e la reazione degli altri partiti che abbandonarono
il Parlamento su iniziativa di Amendola (opposizione dell'Aventino).
Mussolini col discorso del 3 gennaio 1925 diede una svolta decisiva al
regime dittatoriale e mostrò il suo vero volto. Tra il 1925 e il 1928 furono
varate le “leggi fascistissime“ che consacrarono la nuova natura e la
strapotere dello Stato. Croce e con lui Giolitti, Salandra, Orlando e altri
dovettero arrendersi all'evidenza, ogni speranza legalitaria o di riporto
alla legalità del fascismo cadeva con la soppressione della libertà di
stampa, le persecuzioni contro gli antifascisti, il ripristino della pena di
morte, l'istituzione di un tribunale speciale per reati politici,
l'istituzione dell'O.V.R.A., polizia politica segreta, e con l'attribuzione
al potere esecutivo di emanare norme di legge. I normali meccanismi dello
Stato di diritto e i fondamenti della libertà e sovranità popolare vennero
sovvertiti e a cominciare dal 1926 nelle amministrazioni comunali alla
procedura elettiva del sindaco venne sostituita la nomina governativa del
podestà. Il Parlamento risultò svuotato di ogni prerogativa (legge sulla
decadenza dei deputati comunisti e aventiniani, 1926) e le elezioni (1929)
vennero ridotte a semplici plebisciti di approvazione di una “lista unica“
di deputati designati dal Gran Consiglio. Il capo del governo, che era
contemporaneamente “duce del fascismo“, venne sottratto a qualunque
controllo o sanzione, con l'obbligo di rispondere solo al sovrano. Con le
elezioni plebiscitarie del 1929 Mussolini potè contare su una Camera tutta
composta da fascisti, e il carattere totalitario del fascismo finì
rapidamente per coinvolgere ogni settore della vita italiana. In campo
economico-sociale la “Carta del Lavoro“ tentò fin dal 1927 di dar vita a una
moderna forma di corporativismo sopprimendo ogni tipo di lotta di classe, ma
dopo che erano stati distrutti con la violenza gli organismi sindacali,
erano state sciolte le Camere del Lavoro ed era stato vietato il diritto di
sciopero fu impossibile creare una collaborazione tra lavoratori e datori di
lavoro. Inoltre i pesanti compromessi che Mussolini dovette subire pur di
mantenere il comando (dalla corona, dall'esercito e dai maggiori centri
economici), avviarono al fallimento i progetti di costruire una “società
nuova“ e di far rivivere “i fasti e le glorie di Roma imperiale“. |