di Giorgio Rizzotto
Esisteva un tempo
un piccolo omino di nome Tinepenza.
La sua vita scorreva con il correre veloce del filo sottile della vita; ed anche
se questa non sembrava accorgersene nemmeno, tutto era da considerarsi
schematicamente ambiguo.
Successe un giorno che un bambino dalle fragili dita, stette seduto
quarantacinque minuti davanti un enorme sasso grigio chiaro, tutto tondo e ben
levigato dalla pioggia e dal tempo.
Il bambino intuì subito che il sasso voleva comunicargli qualcosa, così
decise di aspettare il mattino. L’alba non avrebbe tardato di molto ad
arrivare, per questo si sistemò più vicino al sasso aspettando l’ora più
giusta.
Il sasso, comodamente sistemato sul suo sedere, si sentiva a disagio in quella
brulla foresta; ma non avendo alternative riguardo il posto da scegliere,
cominciò a dire la sua: “Esisteva, per alcuni uomini, un formidabile uomo
barbetta chiamato Tinepenza”.
Il bambino, come se aspettasse da giorni quella conclusione da parte del sasso,
replicò saccentemente: “Per vie traverse, l’uomo barbetta, l’ho
conosciuto anch’io”;
E, convinto di stare parlando della stessa persona, continuò: “Anche pochi
giorni fa lo vidi, non sembrava
stare male; anzi, in piena salute guardava dal suo nascondiglio noi bambini che
giocavamo nel prato. Improvvisamente, come fa quando è stanco oppure quando
facciamo troppo baccano, esce da dove si rintana, mangia uno di noi e poi va a
casa a russare; mia mamma dice che è per via della vecchiaia che si comporta
così”.
Il sasso sorrise, guardò il bambino ed esclamò: “Hai forse in mente di
lastricare d’oro tutto il mio racconto?”
Solo allora il bambino, che ormai era diventato un omone baffuto, decise di
arrendersi all’evidenza: i fatti non erano come li aveva interpretati per
molti anni; e solamente una clausola pattizia, avrebbe potuto ristabilire le
regole ormai decadute da secoli.
“Caro omone, che pochi secoli fa eri solamente un bambino saccente, ora puoi
godere di quanto è a tua disposizione nella foresta. Gli alberi ti sono amici e
gli animaletti del bosco ti seguono incuriositi. Non credere alle follie degli
gnomi nascosti dentro le buche, essi non hanno alcuna necessità a tirarti nel
loro mondo per poi farti scomparire in chissà quale assurdo modo”.
Perché insistere nella ricerca
di un significato nelle parole del sasso, infondo è giusto ciò che dice. In
pratica afferma che chi vuole riconoscere l’autorità di un qualsiasi consiglio, deve solamente alzare la mano in segno di favore
altrimenti può astenersi, rimandando dunque, in sede successiva, l’esame che
potrebbe essere sbrigato subito.
In due maniere un esame può quindi essere ammesso alla procedura: il primo è
considerato un Ad excludendum, ovvero la capacità relativa di esigere una
alternativa, che peraltro cancellerebbe tutto il procedimento, alla mozione che
si vuole condizionare. Il secondo modo è meno legale ma più redditizio, se
naturalmente si consultano le statistiche, e consiste nello scorporare il
significato primo in due sotto significati, uno dei quali da modificare
arbitrariamente e il secondo da occultare preventivamente.
Ma il sasso era a conoscenza di ciò stava dicendo?
Il piccolo omone baffuto rimase ad ascoltare il seguito della storia, quasi
fosse stupito di quanta grazia occorresse a sistemare le parole nel loro ordine.
Continuò pertanto il sasso: “Tinepenza non è malvagio come tu credi; c’è
chi asserisce il contrario: Tinepenza non esclude il fatto che tu possa
conoscere la neve, né che i fiori possano crescere in primavera. Il nozionismo
non mai fatto gola a nessuno”.
Sbalordito da quelle parole; l’omone, che prima era un bambino dalle fragili
dita, decise di rimuovere la grande pietra per vedere se essa, di sotto,
nascondesse un Homunculus.
Provò prima con la forza delle braccia, ma queste cedettero subito. Insistette
spingendo con le gambe, ma anche queste non durarono molto più a lungo delle
braccia. Capì allora che aveva bisogno di un aiuto.
“grande saggio di un sasso. Ora io ti dimostrerò come tutto quello che tu
dici non è vero. Ti sposterò da dove giaci ed un piccolo uomo meno saggio di
te, un homuculus appunto, mi rivelerà l’inganno.
Questo homunculs, che tu conosci bene, a sua volta avrà un ulteriore homunculus
nascosto sotto il suo sasso. E questo secondo homunculus, come avrai ben
intuito, ne avrà un altro sotto di sé, e così via fino ad arrivare in ultimo
modo a quella che tu conosci bene, ovvero la stupidità finita. La stupidità di
cui sto parlando, è quella che si cela infondo a tutto, quando non è più
possibile spezzettare la saggezza, in parti ancora più piccole”.
“Solo tu puoi essere un piccolo uomo! Chi altri?” replicò rassegnato il
sasso.
Bastò fare qualche passo prima di trovare un bastone tanto resistente da poter
spostare l’enorme sasso. L’omone, che solo pochi secoli era un bambino dalle
fragili dita, sistemò una delle estremità sotto il vecchio saggio di un sasso.
Premette contro l’altra estremità, stupito di quanta poca forza bastasse, e
lo sollevò dal suo letto.
Questo rotolò giù per la vallata, trascinando con se foglie cadute ed arbusti
secchi; nella caduta, per niente rovinosa, non si udì alcun rumore particolare.
Infine il sasso si adagiò sulla cima della montagna più lontana, così
distante dall’omone che questi non riusciva più a vederlo.
Ci vollero pochi secondi prima che l’omone si accorse di ciò che nascondeva
il sasso; Una enorme fossa scura di terra nera e radici di case, quelle che si
trovano solamente nelle tane di un animale.
Un grido riecheggiò soffocato sulla terra quando dalla buca uscì un piccolo
gnomo, grigioverde in volto e con gli arti semiramificati, che ghignando
maleficamente, trascinò l’uomo baffuto al disotto della percezione intuibile.
L’uomo non avvertendo nemmeno l’incapacità di emettere un qualsiasi suono,
guardò dritto negli occhi lo gnomo, riconoscendo solamente le parole che aveva
sempre udito e mai afferrato.