Recensione

di Valerio di Stefano


ANTONIO TABUCCHI,

Gli ultimi giorni di Ferdinando Pessoa, Sellerio Editore, Palermo, pp. 64, Lit 12.000.

Dopo il successo, cospicuo e meritato, ottenuto con la pubblicazione del romanzo "Sostiene Pereira", e con la sua trasposizione filmica, che vedeva Marcello Mastroianni interpretare la parte dell'anziano e grassoccio redattore culturale del "Lisboa", Antonio Tabucchi torna ai suoi vecchi e intramontabili amori. Lo fa in maniera diametralmente opposta, rispetto al suo libro di maggior successo. Se "Sostiene Pereira" ha ottenuto la promozione di Feltrinelli, che l'ha lanciato sul mercato con una adeguata campagna pubblicitaria, questo volumetto rappresenta una sorta di ritorno alle origini. Tabucchi torna a pubblicare per Sellerio, in quella stessa collana ("Memoria") che aveva visto uscire "Donna di Porto Pim", "I volatili del Beato Angelico", e "Sogni di Sogni".

Una rapporto certamente mai interrotto, quello di Tabucchi con il suo antico editore, che riprende con la pubblicazione di questo prezioso volumetto, il cui titolo potrebbe sembrare fin troppo eloquente e significativo, perché se da una parte il legame Tabucchi-Sellerio é vivo, e di una certa consistenza, dall'altra non si può non affermare che il legame Tabucchi-Pessoa resti essenziale in tutta la produzione critica e romanzesca dello scrittore toscano.

In Italia, certamente sarebbero pochi coloro che avrebbero il privilegio di leggere Pessoa, in edizioni curate e disponibili. La letteratura portoghese non ha mai goduto di una grande popolarità in Italia, chi avesse voglia di leggersi "I Lusiadi" di Luis de Camoes, sicuramente l'opera più alta che sia mai stata scritta in Portogallo, dovrebbe andarla a cercare in pessime traduzioni destinate ormai al mercato dei remainders.

Non meravigli dunque il fatto che Tabucchi sia il miglior conoscitore e critico di Pessoa. Ma in queste poche pagine, stampate su una carta che finalmente dà il piacere di leggere un libro anche dal punto di vista del tatto, Tabucchi "si fa" Pessoa, diventa l'oggetto della sua narrazione e dei suoi studi e ne descrive l'ultimo viaggio, un viaggio materiale (quello che porterà il grande scrittore portoghese all'ospedale di Sao Luis dos Franceses), il viaggio verso la morte (risolto nelle ultime quattro righe) e quello più intenso, interiore, il colloquio con i suoi amici (personaggi reali, come il signor Manaces, barbiere) e coi suoi eteronimi, scrittori inventati, ma perfettamente definiti nell'eterno gioco di sdoppiamento della personalità che fu proprio di Pessoa.

Scrittori, si badi bene, non personaggi, che portano nomi concreti (Alberto Caeiro, Ricardo Reis, e Bernardo Soares, cui Pessoa attribuì la parternità del Libro dell'inquietudine), talmente reali, da essere contemplati da Tabucchi nella parte finale del libro, che include una serie di biografie sui personaggi che vi appaiono.
Manca Ophelia Queiroz, l'unico grande amore di Pessoa. Coloro che abbiano letto lo squisito volumetto edito da Adelphi "Lettere alla fidanzata" se ne saranno resi certamente conto.

Ma Pessoa, nel suo ultimo delirio, nella pluralità dei suoi dialoghi di commiato, non può morire altro che come ha sempre vissuto. Solo.


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