Racconto di Giuliana Sansoni: La venditrice di lupini


Clarì era una donna piccola piccola, magra come una gazzella e come una
gazzella aveva gli occhi verdi e come una gazzella andava svelta su per le
stradette tutte sassi, su pei monti irti e profumati a vender i suoi
lupini.
La Clara, ma tutti la chiamavano Clarì, aveva dei bei capelli bianchi come
la neve e riccioluti e fini come fossero di seta e talmente voluminosi e
soffici che sembrava avesse in capo una nuvoletta amabile, come quelle che
a primavera si fan dondolare dal vento cortese. Era rimasta sempre al paese
dove aveva consumato tutta la sua esistenza.
Viveva in Rocca, in una casetta che i suoi nonni le avevano lasciato in
eredità Da lassù, in cima al paese, poteva osservare la gente del borgo
sottostante che andava e veniva per vicoli e per sentieri, vedeva andar su
oppure giù tutto il paese imparandone così vita e miracoli. Da quella vetta
poteva ammirare anche tutta la vallata ampia e grande e il cielo netto che
s'intagliava nei tetti delle case e negli scoscesi anfratti, era suo!
Era suo anche il vento che entrava nell' orto per profumarsi con gli aromi
dell'erbette e delle piante che lei coltivava con perizia. E si accorgeva
subito, al rientro a casa, quando trovava lasciati seminoni nell'aria tutti
i suoi prelibati Odori, che il vento, per la furia di scappare via,
dimenticava ovunque, allora lei gli chiedeva sorridendo un poco:
"Oh vento furbetto di primavera, dove l'hai portata l'essenza mia di
lavanda e quella del rosmarino in fiore, quella della mia nepeta?"
Il vento birbante che l'ascoltava, con un frullo vorticoso se ne andava
subito via, lontano nel cielo e lei che lo sentiva passar svelto sulla sua
pelle gli sorrideva benevola, tanto sapeva che sarebbe tornato.
Una volta la Clarì si ruppe una caviglia per rincorrere la sua unica
pecorella e dovette essere portata all'ospedale. Gliela rattopparono la
caviglia, ma per la furia gliela misero storta, girata leggermente su un
lato. Le proposero, alcuni dottori, accortisi dell'errore di rifarsi
operare; ma lei, pur di non tornare in ospedale preferì rimanere in quello
stato col piede girato irrimediabilmente su di un lato.
Cogli anni la povera "occhi di gazzella" imparò ad accostare tanto bene
quel suo piede storto a terra che quasi diventò un vezzo quel suo
camminare claudicante: andava veloce come il vento in qualsiasi stradetta e
viottoletto tanto era esperta e tanto era ostinata.
Parlava poco quella pura gazzella, forse per una timidezza innata, o forse
perchŠ la sua menomazione l'aveva resa un alquanto guardinga.
Non era più tanto giovane quando le capitò la disavventura del piede ed era
già rimasta vedova due volte. I suoi due mariti poi non le avevano lasciato
nulla, solo due figli maschi che non si preoccuparono poi un granch‚ di
lei, lasciandola ben presto per correre dietro a qualche fidanzata. Eppure
quella donna semplice e modesta li allevò bene i suoi fancilli e diede loro
tutto quello che poteva, certo, anche la miseria, ma questo non fu certo
per colpa sua.
Allevò quei due "fancilli", come li chiamava lei, da sola e con la sua
pecora dal vello marrone.
Col latte della pecora, faceva un po' di formaggio che vendeva a Pasqua e a
Natale per comprare con il ricavato certe cose necessarie per i suoi figli.
Con la lana che filava la sera davanti al fuoco, faceva dei calzerotti e
delle maglie che bastavano a coprire tutta la sua famigliola. I suoi figli
brontolavano non poco quando dovevano indossare le camiciole o le maglie di
lana grezza perch‚ quegli indumenti che lei sferruzzava senza tregua
bucavano terribilmente sulla loro giovane pelle e lei gli diceva sorridendo
e per convincerli un poco:
"Vi abituerete, oh, se vi abituerete, fancilli miei! Quando verrà il
freddo, quello vero, quello che fa perdere anche la coda al cane, sarà
tenera con voi la vostra maglia. Vedrete e come vi farà comodo!"
E malgrado tutto, malgrado i mille sforzi e la gran buona volontà che
quella donna dimostrava continuamente, di soldi veri, di quelli sonanti,
non ne aveva davvero mai.
Andava ad opre, la tenera gazzella, anche presso qualche famiglia del paese
per vedere se racimolava qualche soldarello, ma la pagavano a fin della
giornata solo con una brancatina d'avena, oppure un po' di farina bianca o
con qualche secchio di patate con le messe1, ma con i soldi mai!
Un bel giorno stanca di essere sempre in quello stato, senza mai una lira
in tasca, decise d'andar a vendere i lupini per veder se riusciva a
raccattare qualche lira e comprare così qualche cosuccia a quei due
marmocchi: forse un paio di pantaloni, delle scarpe....
Qualche giorno prima della festa incominciava a prepararli i suoi lupini.
Li metteva a rinvenire con acqua e sale e altre spezie, che lei teneva
segrete, in un gran paiolo nero. Poi li metteva a cuocere per circa quattro
ore a fuoco lento dopoch‚ li versava in un grosso paniere di vimini che
portava in un fosso a spurgare sotto una bell'acqua corrente, vicino alla
casa di suo fratello Geppe. I lupini rimanevano in quel posto sotto
l'acqua limpida per almeno due giorni in modo che perdessero tutto l'amaro.
Al sabato tornava al fosso a riprendere il suo cestone e il suo commercio
era subito pronto!
E così la piccola gazzella, nei giorni di sabato e di domenica, se ne
andava sicura dappertutto, zoppicando zoppicando, a vendere i suoi lupini,
a offrire il suo tesoro a questo, a quello.
Quando usciva di casa si faceva il segno della croce e ogni volta che
passava davanti ad una marginina della rogazioni, e ce n'erano tante una
volta lassù anche nei boschi, si segnava ancora passando veloce veloce, la
mano sulla fronte e sul petto e s'inginocchiava appena mormorando:
"Fammeli vendere tutti che n'ho di bisogno!" E camminava svelta per far
presto e andava per tutti i borghi e nelle aie e diceva urlando non troppo
forte:
"Lupini, lupini, che me li compra i lupini?"
Qualcuno che la sentiva non apriva neppure la porta, ma i bimbi se ce
n'erano, si facevano subito avanti e domandavano con allegria:
"Clarì, Clara, quanto ce li fai un cartoccino?"
"Dieci lire, bimbo te li fo." Rispondeva lei con gli occhi selvaggi ma che
avevano però del timore. Allora arrivavano le mamme con qualche soldo in
tasca e compravano i lupini ai loro figli a malincuore però, perchè anche
per loro, pochi soldi erano sempre troppi soldi!
La Clarì allora posava il gran paniere su qualche muretto e serviva quella
gente prendendo dalla tasca del suo grembiule nero e tutto toppe, un
rettangolino di carta gialla che avvolgeva a cono piegandolo al vertice e
vi buttava dentro i lupini dopo averli misurati, precisi precisi, col
bicchiere che teneva in un lato del cesto.
I bambini prendevano quei saccocci quasi con voluttà e veloci come gatti
sparivano subito. E si mettevano su qualche ciglio più lontano o sugli
scalini a masticar i lupini, a far le gare e a sputar le bucce più lontano
possibile, a ridere, a giocare.
"Come va Clarì? Le chiedevano allora le donne prima di chiudere l'uscio di
casa ed entrar dentro.
"N'hai venduti eh, stasera a questi ragazzacci! Ma se vai alla bottega dove
ci sono quelli che fanno il quartino a carte, vedrai che li vendi tutti, in
quattro e quattr'otto!"
Lei rideva debolmente e faceva di sì con la testa, ma alla bottega non andò
mai forse per una sorta di timore, forse anche d'orgoglio! Andava invece in
qualche altro posto a offrire la sua mercanzia, finch‚ la notte non la
faceva tornare a casa e non sempre con il cesto vuoto, non sempre con
qualche soldo in tasca, ma spesso con qualche fantasia in meno.
Fine


Fiaba di Giuliana Sansoni

I volpacchiotti di Rubinia la volpe (testo con sei o sette illustrazioni
acquerellate)


I Volpacchiotti di Rubinia la Volpe
Rubinia, una bella volpotta di montagna, alla fine dell'inverno aveva già
cresciuto i suoi due volpetti in modo esemplare, e alla fine dell'estate i
volpacchiotti belli e vispi superavano già la madre in abilità e in
furbizia. Certamente Rubinia in quel periodo aveva avuto molto da fare per
insegnare a quei due piccoli rampolli, sempre pronti a giocherellare e a
far tante altre cose, tutti i segreti del bosco, tutte le sue esperienze.
Rubinia i primi tempi, durante l'allattamento, tenne i suoi figliolini ben
bene nascosti nella tana, grande come un bell'appartamento di città e
dotata di ogni conforto; poi, appena i due piccoli incominciarono a star
ben fermi sulle loro zampette e quando il bel pelo divenne soffice e
morbido come il cotone, iniziò a portarli con s‚ per insegnar loro quello
che una buona volpe deve sempre sapere fare. Quello fu il periodo più bello
della sua vita. In quel periodo lei seppe essere veramente una ammirevole
volpe, ma....


Fiabe e Poesie

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