LA FORESTA DEGLI ABETI CHE FERMARONO LE LACRIME
(prima parte)

Fiaba di Cristina Bertazzini
inviateci dagli amici del Gruppo Entasis di Torino

.

Erano tanti giorni ormai che si recava nella foresta, per quel sentiero nascosto, ostacolato dagli arbusti. Benché fosse difficile attraversarlo e i rami le impedissero il cammino, lei lo doveva percorrere ugualmente, come ci fosse alla fine di quel passaggio, una forza ad attirarla verso il verde cupo.

Il viso, ornato dal mantello, volgeva verso il basso, e i suoi occhi scivolavano sul terreno battuto. Il cuore non poteva più ondeggiare tra una punta e l'altra delle spine e doveva arrivare alla radura nella foresta per potersi sciogliere in un pianto.

E così ogni giorno faceva, trattenendo fino all'ultimo passo del sentiero quella tristezza e quella paura di cui non conosceva la provenienza. Si sospingeva ai bordi del paese, oltre le case, lontana dalle Anime influenti e poi, una volta rimasta sola, circondata da quegli abeti che conosceva uno ad uno, si chinava a terra, e lasciava finalmente che il ruscello delle sue lacrime bagnasse il terreno, trovando un piccolo solco naturale in cui poter scorrere.

Ma gli alberi non parlavano, non avevano parole di conforto.

Loro che sapevano come respirare l'aria, come far vibrare i rami al vento, come mantenere la verdezza e lo splendore del fogliame, come resistere alla rugiada della notte, come farsi attraversare dagli anni che passavano nella foresta, loro che sapevano, rimasero muti.

E il fiume gorgogliava, produceva quel suono certo, sicuro, il suono di un fiume che da secoli conosce il suo cammino: nasce dalle montagne, solca la roccia e scivola verso valle. Avesse potuto buttare il suo cuore nel fiume: l'acqua l'avrebbe sicuramente portato con se fino a valle, avrebbe così compiuto per lui la sua strada.

Ma il fiume non glielo chiese. Passavano le ore e il cielo si scuriva, ma gli occhi di lei continuavano a spremersi come due acini ricolmi di succo, e l'acqua sgorgava in così grande quantità che inverosimile poteva sembrare che tanto liquido uscisse da un corpicino così magro.

L'aria era secca e fredda, era aria di neve, arrivava da dove si era posata la neve. L'aria raccontava la sua storia, l'aria aveva il suo profumo dell'anno prima e del secolo prima, di quella brezza gelida che soffia verso tutti gli inverni. E lei avrebbe voluto col suo naso rincorrere l'aria e andare nel posto gelido da cui si fabbricava l'odore dell'inverno, l'unico posto in cui si possono fermare le cose, per sempre bianche per sempre gelide, per sempre silenziose. Ma lei non conosceva la sua storia.

Arrivò il freddo, invece. E la fece tremare, la fece desistere dal suo intento di abbandonarsi per ore. Così si dovette alzare in piedi seguendo il fiume a ritroso, tenendo sempre tese le orecchie, tese le narici, rivolti gli occhi agli abeti, nel suo pianto dirotto. Rincontrò il sentiero che già conosceva, quello che riconduceva al paese, alle case, all'Anima influente, e così facendo le sembrava di tornare nella sua dimora, nel luogo certo da cui era venuta, da quel luogo in cui non occorre fare domande. Eppure ciò non riuscì a consolarla, e le uscì un singhiozzo più disperato di tutti gli altri singhiozzi, fatto di lacrimoni giganti, come spruzzi copiosi di un mare in burrasca.

Una delle lacrime giganti vibrò nell'aria e si andò a posare tra i rami, impigliata in una tela di ragno. Stava lì penzolante, una goccia sferica che oscillava su un filo trasparente, come una perla catturata. Di lì a poco la vibrazione prodotta sulla ragnatela fece arrivare il padrone, e lei osservò quell'esserino leggero di otto piedi che correva verso la goccia. Si fermò stupita e incuriosita: forse al signor ragno poteva fare delle domande. Ma lui, che sapeva ascoltare tutte le vibrazioni della foresta, conosceva già il suo pianto e quella gocciolona arrivata fino a lui gli confermò che ora doveva parlare a quella fanciulla così triste. Così la precedette: "Mia cara, la sua lacrima per poco non distruggeva la mia tela. Io capisco che sia una grande lacrima, ma la sua é la lacrima di un secondo di male, mentre la mia tela é una tela di giorni di fatica e di anni di sapere".


Fiabe e Poesie

Home page