Su questo promontorio sorse
l'odierna Servola, inizialmente Sylvula, per via dei quercioli che la rivestivano.
Non è facile ricostruirne una storia omogenea poiché, ora rione, si è sviluppata con
l'identità del paese, la cui memoria storica è legata ai singoli.
Questo sarà un filone evocativo fatto di istantanee, non sempre nitide.
Le prime testimonianze rinvenibili a Servola sono legate ai Romani, la cui conquista della
zona del Friuli-Venezia Giulia ebbe luogo a partire dall'inizio del II secolo a.C.
In un un tratto del litorale avevano installato la fullonica, un laboratorio ove si
lavavano e tingevano i tessuti di lana e nel cui accosto specchio d'acqua, vi erano
probabilmente garuse e murici, una specie di gasteropodi (classe di molluschi), le cui
ghiandole secernono una sostanza colorante (porpora) un tempo assai pregiata per colorare
i tessuti.
La fullonica si può considerare un segno di ciò che sarebbe diventato più avanti il
destino prettamente industriale di questo luogo basato su un'economia agricola; il grigio
argenteo degli ulivi si alternava alla fioritura dei ciliegi, dei peschi e dei peri e
lungo i pendii si aprivano come braccia spiegate i filari delle viti.
I Romani furono innanzitutto agricoltori, propensi quindi ad un'esistenza di tipo agreste.
Iniziava infatti così il celebre brano di Orazio:
"Hoc erat in votis: modus agri non ita magnus..." ossia
"Era tutta qui la mia ambizione: un pezzo di terra non troppo grande, un giardino
con la sua brava sorgente sempre fresca vicino alla casa e magari un po' di bosco in
aggiunta...".Antistante la fullonica, pare
ci fosse un porto diviso da due moli di cui furono rinvenuti, negli scavi del 1890 circa,
blocchi di banchina e due plinti con cavità per l'incastro del cordame.
Nella stessa occasione furono osservate tracce di un terzo molo alla cui estremità pare
si trovasse un faro.
La presenza di queste tre costruzioni è spiegabile con la loro collocazione; l'insenatura
servolana non è esposta alla violenza dei venti ed è di facile approdo quindi ottimale
per gli scambi commerciali.
Il Prof. Alberto Punchi sostiene inoltre che la zona potesse essere visitata da navi e
mercanti ancor prima della costruzione dei moli ed anche in seguito alla dominazione
romana (Atti del Museo civico d'Antichità).
Con la decadenza dell'Impero Romano d'Occidente, Servola seguì le sorti di Trieste ed a
ondate successive fu invasa dai barbari, entrati attraverso la porta aperta delle Alpi
Orientali.
Unni, Goti, Longobardi con saccheggi, incendi e distruzioni misero tutto a soqquadro,
definendo il declino economico del luogo.
Nell'VIII secolo ivi si stabilirono, ove non disturbati, gli Slavi.
Diradarono la boscaglia che aveva molto probabilmente invaso la sommità della collina
dandosi alla pastorizia, mandrie ed alla coltura dei campi.
Il villaggio fu da loro chiamato Skedenj, la cui traduzione è aia e si riferisce all'area
ove i villici dovevano andare a trebbiare il grano per conto del Vescovo al quale,
corrispondevano le decime.
Antonio Luigi Tempesta fa notare che il vero nome di Servola, con dizione slava, dovrebbe
essere Scedna o Scetna, ossia selva.
Tra il 1301 ed il 1320 circa Rodolfo Pedrazzani, vescovo di Trieste, chiamò nella sua
villa di Silvola alcuni abitanti del castello di Soncino situato non lontano da Robecco,
una grossa borgata della provincia cremonese.
A questi ultimi, tradizionalmente laboriosi, si fa risalire il nome Servola.
La ragione della loro venuta non è ben definita, ma due sono le soluzioni piu'
accreditate.
Una attribuisce l'invito del Pedrazzani, nativo di Robecco, alla necessità di
quest'ultimo di qualcuno per attendere ai campi, Silvula a quel tempo si era spopolata a
causa della guerra con il comune di Trieste e con i Veneti; l'altra attribuisce l'invito
alla necessità del vescovo di uomini bravi a lavorare la pietra, ed i Soncini lo erano,
per terminare la Cattedrale di San Giusto.
Dopo il vescovo Pedrazzani la storia di Servola si perde nuovamente in quella di Trieste,
il dominio della repubblica di Venezia e l'alternarsi della Casa d'Austria ai Francesi.
Intorno al 1850 avvenne un rapido sviluppo demografico contemporaneamente all'espandersi e
consolidarsi del sistema economico-produttivo ed all'affermarsi della funzione emporiale
di Trieste.
A Servola e dintorni cominciarono a sorgere fabbriche, questo comportò la creazione di
posti di lavoro e l'insorgere di nuovi problemi sociali, connessi allo spostamento della
popolazione ed all'immigrazione di operai provenienti da altri territori dell'impero o
dall'estero.
Su segnalazione del magistrato civico fu richiesta l'istituzione di un posto di guardia a
causa dei molti forestieri, non solo dei giovani locali, occupati nei cantieri e nelle
officine a cui si attribuirono continui schiamazzi notturni nelle osterie ed altri
disordini.
Nel 1900 risultavano residenti a Servola 6034 persone di cui 2692 provenienti da altri
comuni dell'Impero e 672 stranieri di cui gran parte italiani.
Era la Ferriera, attivata dai dirigenti della Krainische Industrie Gesellschaft, ad
assorbire il maggior numero di manovalanza a cui appartenevano i gruppi etnici piu'
diversi; questo comportò inizialmente frizioni e rivalità.
Un' altra realtà industriale che si insediò sotto Servola e divenne celebre in tutto il
mondo, fu la fabbrica Vernici e Intonaci Sottomarini G. Veneziani; celebre era il suo
intonaco "Moravia", ma nella produzione principale erano incluse anche una
vernice a freddo grigia, una vernice rossa ed un Copperpaint per le carene in legno.
Deleterie furono, per l'industria e l'economia, le conseguenze del conflitto mondiale del
1915-18, ma riuscite a riorganizzarsi ed a consolidarsi si abbattè su di esse la II
Guerra Mondiale.
Questa svuotò l'economia di tutto il suo significato di fronte alla politica.
Come già altre volte, nell'immediato secondo dopoguerra, la vita economica di Trieste fu
influenzata da particolari momenti storico-politici.
Servola fu circondata da quartieri creati inizialmente per ospitare i profughi istriani e
successivamente le costruzioni dell'edilizia popolare.
Molte cose sono cambiate, ma Servola oggi
mantiene nella sua gente intatte peculiarità che provengono dal passato, createsi dal
fondersi di etnie: allegria, vivacità ma cocciutaggine, non facile malleabilità.
Estasi e meditazioni che ritroviamo nei luoghi.
Salvatore Quasimodo non ha forse scritto:
Sei ancora quello della pietra
e della fionda, uomo del mio tempo. |