Sulla morte e il morire

di Danilo D'Antonio
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Da qualche tempo ha preso piede, indisturbata, l'idea che asserisce che un essere umano può essere dichiarato morto quando gli strumenti dei medici rilevano la cessazione delle funzionalità del suo cervello. Si tratta di una convinzione piuttosto affrettata ed avventata, considerato poi che tutto sommato stiamo parlando di un essere umano, di noi stessi, dunque, prima o poi, e non di un qualsiasi vecchio giocattolo da buttar via.
E' da considerare infatti che la attuale strumentazione scientifica, pur con tutti i suoi progressi, è tutto sommato ancora piuttosto elementare ed i suoi rilievi piuttosto approssimativi. Se è vero che essa è più che sufficiente per molti usi, è altrettanto vero che essa non è assolutamente in grado di fornire un quadro sufficientemente completo ed approfondito
dello stato di una persona. Chi scrive può ben dirlo: pur vantando i valori immacolati riscontrabili nelle più accurate analisi mediche di un bimbo, ha 46 anni e da dieci è immobilizzato ed in pessime condizioni fisiche a causa di una poco cortese poliartrite.
Ma c'è un fatto ancor più significativo e basilare a palesare una certa superficialità di metodo nell'acquisizione della cognizione di morte da parte dei medici. Dobbiamo infatti rammentare che una strumentazione di rilevamento, in qualsiasi settore della scienza operi, può limitarsi a mostrare solo delle variabili relative a fenomeni e sostanze che ci sono
già note. Nessuna strumentazione potrà, nè oggi nè mai, anche in un lontano futuro, fornirci indicazioni che possano essere anche lontamente definibili qualificate su fenomeni e sostanze a noi fino a quel momento sconosciute.
Perbacco, pensiamo forse allora che noi miseri esseri umani abbiamo già scoperto tutto quello che c'è da scoprire al mondo?

A nostro modesto avviso certamente no, specie in un àmbito tuttora avvolto da un fitto mistero come il processo in cui dalla vita si passa alla morte.
Forse possono non avere dubbi figure professionali, quali i medici e gli avvocati che hanno sposato la burocrazia ed abbandonato la ricerca, i quali fondano effettivamente il loro benessere sull'ignoranza altrui, per cui il loro sapere pare loro qualcosa di Superiore. Ma le persone semplici, quelle che se per caso hanno conseguito una laurea la nascondono in fondo alla loro soffitta poichè ravvedono i numerosi limiti che caratterizzano gli studi compiuti per ottenerla e mai sognerebbero di tirarla fuori per basarci una seria attività, quelle modeste persone che attribuiscono il maggior valore del loro sapere alle conoscenze che non trovano sui libri bensì alla sapienza raggiunta attraverso la delicatezza, la dolcezza, la
gentilezza del loro stesso sentire, queste persone sanno bene come vi è oggi, e vi sarà sempre, un intero universo di cose da capire, da scoprire, da conoscere, e per questo motivo esse non si avventurano a trarre conclusioni affrettate ed in base a queste stabilire norme che influiscono così profondamente sulla coscienza ed infine sulle decisioni degli individui di una intera nazione.
Ma prima di arrivare a considerare ulteriormente il ruolo della legge in faccende come questa, dobbiamo chiederci anche in cosa un essere umano possa identificarsi, e verificare come vi siano in proposito possibilità ben più ampie di quelle che la pubblica opinione, ahinoi, mostra conoscere.
Per quale astruso, perverso ma soprattutto insensibile motivo un essere umano dovrebbe identificarsi soltanto in un cervello e nelle sue funzioni?
Per quale motivo non possiamo invece identificarci in tutte le nostre cellule, nessuna esclusa, persino quelle considerate meno nobili da chi non ha mai riflettuto sui cicli più nascosti della vita? Per quale motivo dovremmo provocare alle cellule del nostro corpo un trauma come quello causato dal distacco di un organo senza nemmeno prendere seriamente e
lungamente in esame questa scelta? Certo il corpo si disfacerà comunque, ma perchè caricarci con un ulteriore trauma durante un momento per noi così importante come quello del passaggio dalla vita alla morte?
Attenzione, si badi: qui non si sta affatto consigliando di negare i propri organi a chi ne ha bisogno. Si sta invece ponendo l'attenzione sulla estrema superficialità dell'approccio a questo tema e si rimprovera, non tanto i medici ed i legulei che prima hanno diffuso questo tipo di cultura ed ora la stanno perfino trascrivendo sui codici, ma soprattutto la stragrande maggioranza dei singoli esseri umani di questa nazione che, lasciando dimorare le loro capacita intellettive ed introspettive
nell'abulìa e nella pigrizia, stanno cadendo sempre più nelle grinfie di chi non aspetta altro che disporre di un esercito di immaturi, ignoranti, inerti ed apatici per far meglio i propri comodi.
Si auspica una maggiore responsabilità personale, quindi, ma anche una maggiore consapevolezza, due regole di vita utili sempre, che qui, nel decidere se far dono o meno di una parte di sè ad un proprio simile in pericolo, sono ancor più necessarie, poichè regalando la vita ad un altro essere si mette certamente a repentaglio una fase importante della nostra
stessa esistenza. Il nostro morire, poichè ineluttabile ed irripetibile, dovrebbe essere un processo vissuto in piena coscienza e pace, perfino goduto, se possibile, in tutti suoi passaggi e sfumature, anche attraverso la elementare coscienza diffusa delle singole cellule rimaste in vita, non soltanto tramite la nostra intellettualità. Non è un caso che molti
sapienti di ieri e di oggi sono andati e vanno incontro alla morte con lo stesso spirito di ricerca, con lo stesso amore del mistero, con lo stesso inesauribile desiderio di capire, che hanno caratterizzato il loro modo di essere in vita. Il "Bardo Thos Grol" ed "Il libro egizio dei morti" sono solo due fra gli antichi testimoni di questa particolare ricerca, testimoni
di un tempo e predecessori dei più evoluti libri che verranno scritti nella nostra era, se permetteremo all'amore per la conoscenza, potenzialmente ínsito in ognuno di noi, di esprimersi liberamente, senza vincoli ed al di fuori di qualsiasi binario istituzionale.
Concludiamo riflettendo sul fatto che in un mondo ideale, sia funzionale ed efficiente che bello e piacevole a viversi (in tre parole: propenso all'evoluzione), la legge limiterebbe il suo operato al disbrigo delle questioni che effettivamente le competono, e cioè alle cure per quegli aspetti del vivere comune che mettono a serio repentaglio la vita ed il
benessere del singolo e della comunità (per intenderci furti, violenze, e cose relative). Ma mai, mai potrebbe permettersi di impicciarsi dei fatti inerenti la persona, non solo costringendola ma anche semplicemente suggerendole filosofie, usi e comportamenti da lei stessa decisi. La legge non è competente in questo perchè assolutamente ignorante in proposito, e
nemmeno la conoscienza scientifica da sola, può pensare di avere quella visione ampia e profonda della realtà necessaria a capire, discernere e decidere cosa sia meglio per l'essere umano. Bensì essa stessa deve necessariamente rivolgersi e far ricorso a grandi dosi di quella sapienza universale che solo i mistici, coloro che amano e rispettano il mistero, lo
ricercano e s'avventurano per impervie strade filosofiche al fine di svelarlo, possono e devono offrire.

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Sullo stesso argomento si consiglia una visita a: http://www.antipredazione.org/
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Sull'arte del morire:

una intervista con Elisabeth Kubler-Ross: http://www.doubleclickd.com/kubler.html

The Natural Death Handbook - Il Manuale della Morte Naturale: http://www.globalideasbank.org/natdeath/ndh0.html

La Grande Liberazione Nel Bardo Tramite l'Ascolto: http://www.geocities.com/Athens/Olympus/3381/abd_home.html

Zen Hospice Project: http://www.zenhospice.org/

Numerosi libri sull'Arte del Morire: http://www.gen.com/simpson/death1.html



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