Ipertesti: definizione e modelli. Ambiti applicativi nella didattica

di Fabio Giacomini

"Se non ti adattavi alla matrice, venivi emarginato".

Questa può essere stata la grande paura che ha spinto Theodor Holm Nelson a immaginare un’enorme Rete di computer, senza un inizio e una fine, per andare alla ricerca di un’informazione seguendo personali percorsi di ricerca, ma anche come enciclopedia in continua definizione aperta ai contributi dei lettori. Nasceva l’ipertesto, eravamo attorno agli anni ’60, anche se già da qualche decennio altri studiosi ne avevano gettato le basi teoriche.

Molte certezze dall’epoca della stampa in poi vengono messe in crisi. La parola stampata si basa sulla linearità in ragione dello stesso processo di lettura, ogni parola è lineare dovendo essere letta con un inizio, una parte intermedia ed una fine. Ma se la linearità emerge con i testi, scompare con l'elettricità. Sono i calcolatori a permettere il collegamento di diversi documenti, prima dalle pagine potevano esserci dei continui "richiami esterni" come nell’Ulisse di Joyce, ma in mezzo rimaneva una barriera fisica. Oggi invece ci sono tutte le conoscenze tecniche per connettere documenti fisicamente lontani l’uno dall’altro.

Ma cos’è la matrice che tanto spaventava Nelson? "Immaginate una nuova cultura libertaria, dove spiegazioni alternative permettano a chiunque di scegliere l’approccio o il tracciato a lui più confacente; dove le idee siano accessibili e interessanti per chiunque, così che l’esperienza umana possa godere di una nuova libertà e di una nuova ricchezza." (Nelson 1992, 1/5) La matrice è invece la rigida separazione da disciplina a disciplina della nostra scuola, è anche tutta la nostra cultura digitale. Un esempio di comunicazione analogica ci viene dal campo del non-verbale, mentre per la comunicazione digitale potremmo pensare al verbale ed alla scrittura. La linearità ci viene imposta da una determinata cultura, non è l'unica forma possibile di organizzazione del Sapere, come ci viene dimostrato dallo studio dell’antropologa Dorothy Lee sulla lingua delle isole Trobriand dove manca "una codificazione lineare del reale". L'ipertesto ci avvicina ad una forma di pensiero non-lineare, ad una forma analogica più interessata a studiare i fatti in maniera globale. Fileni sottolinea come la nostra educazione sia troppo spesso impostata in funzione della soluzione di problemi e non alla ricerca "di una corretta posizione scientifica con la capacità di porre problemi nuovi e interconnessioni tra campi diversi del Sapere". (Fileni 1992, 31)

Ma cos’è l’ipertesto? "Per ipertesto intendo semplicemente la scrittura non sequenziale", questa la semplice definizione di Nelson che tanta importanza avrà per la nascita di Internet e del World Wide Web come lo conosciamo oggi. Non è qui che nasce questa forma di organizzazione delle informazioni, ma il processo era già in atto in campo letterario con autori come Sterne, Borges, Joyce; Calvino, Burroughs, o addirittura nelle "chiose" degli amanuensi. Negli anni ’60 pero’ Nelson conia il termine e ne dà una definizione.

Possibilità di seguire personali percorsi di ricerca, ma anche una caduta della netta distinzione tra autore e lettore ne saranno gli elementi caratterizzanti. Non si può prescindere infatti dall’aspetto collaborativo di un ipertesto. Proprio per questo si è spesso criticata la superficialità nel definire ipertestuale il WWW come lo conosciamo oggi. Le pagine di Internet infatti non possono venir modificate dal navigatore. Proprio per superare questo limite si è sviluppato al LSCMT dell’Università di Trieste (http://www.lscmt.univ.trieste.it), un software che permette ai visitatori del sito di apporre degli appunti, di fissare nuovi collegamenti ad altri documenti. Se vogliamo che Internet diventi uno strumento realmente collaborativo sarà questa la strada da percorrere. Pensiamo anche a quali stravolgimenti possa portare l’ipertesto in campo didattico quando ogni alunno potrà scegliere il suo percorso d’apprendimento e l’insegnante scenderà dalla cattedra per diventare un tutor che accompagna lo studente invece di guidarlo. Ma così stiamo abbandonando il campo del reale per avvicinarci piuttosto alle utopie di visionari come Nelson. Il corpo docente sarebbe pronto ad accettare questo nuovo ruolo? E gli stessi studenti saranno in grado di prendersi tutta questa responsabilità?

Difficile rispondere a queste domande, le lasciamo in sospeso e per comprendere l’ipertesto vediamo come lo si crea, ricordando di tener presente una convergenza tra processo di lettura e di scrittura, di fruizione e di creazione.

Lo sviluppo di ipertesti può trarre beneficio da una progettazione sistematica soprattutto nel caso di applicazioni complesse e di notevoli dimensioni. Un approccio strutturato alla progettazione di ipertesti viene definito "authoring-in-the-large", così potremo descrivere elementi informativi e strumenti per la navigazione senza soffermarci sui dettagli di implementazione, in forma indipendente dal sistema.

Il grado di successo di un’applicazione ipertestuale è direttamente legata all’abilità dell’autore di catturare ed organizzare la struttura di un soggetto complesso in maniera tale da renderla chiara ed accessibile. Già dall’inizio degli anni ’90 si sono sviluppati dei modelli per aiutare il lavoro di progettazione ipertestuale.

Il modello di Dexter nasce per fissare uno standard di comparazione tra strutture di informazioni statiche e le funzionalità di diversi sistemi ipertestuali. I suoi "blocchi di costruzione" nascono per definire gli oggetti di "basso livello" di un ipertesto come ancore, nodi e links.

L’HDM (Hypertext Design Model) invece è più attento agli aspetti di modellazione e implementazione vera e propria. Anche questo è un modello indipendente dal sistema con cui si opera, attraverso la definizione di 3 categorie di elementi dell’ipertesto e di 3 tipi di links si è mosso un primo passo verso la definizione di un modello generale per l’ authoring-in-the-large.

Utilizzando dei modelli di riferimento si dovrebbe facilitare la comunicazione tra analista e user finale, fra analista e "system designer" e fra quest’ultimo e l’implementatore. Lo sviluppo di metodologie di design può dare delle indicazioni su come gli autori di ipertesti possono sviluppare, analizzare e comparare metodologie e stili di "hypertext authoring" senza tener presenti nei dettagli i contenuti dettagliati e le unità informative. La disponibilità di un linguaggio di modellazione, getta le basi per un (parziale) riuso delle strutture di base quando la semantica di un’applicazione è sufficientemente simile a quella di un’altra.

Il rischio maggiore di un ipertesto è quello di far perdere l’orientamento al lettore, di disorientarlo in mezzo ad una molteplicità di scelte. L’utilizzo di modelli dovrebbe venire incontro agli utenti aiutandoli ad affrontare documenti complessi e a ridurre i problemi di disorientamento.

I modelli ipertestuali in ogni caso non devono andare nella direzione di chiusura delle potenzialità di apprendimento, ma piuttosto verso l’ organizzazione di diversi percorsi altrimenti "dispersivi".

L’entrata dell’ipertesto nel sistema scolastico apre nuove possibilità di concezione dell’apprendimento denominate "open-learning". Dovrebbero divenire realmente praticabili strategie di insegnamento-apprendimento di tipo aperto. Le attività didattiche infatti, possono rimanere "passive", con l’insegnamento definito in forma rigida, oppure divenire "attive", con lo studente libero di scegliere il proprio percorso di studio. La molteplicità di intrecci cambia la filosofia d’impiego del computer spostando le responsabilità delle scelte nel processo formativo dall’insegnante allo studente. Nelson immagina un futuro diverso per la scuola grazie agli ipertesti. Secondo lo studioso si potranno superare i due grandi problemi responsabili del fallimento e del generale disinteresse per la scuola: la "settorializzazione" della conoscenza e la detenzione del Sapere nelle mani di pochi "signori feudali", i professori. "Lo stesso problema del curriculum scolastico in cui i temi del mondo vengono fatti a pezzetti per adattarsi ad un programma fatto di ore alla settimana trasforma subito il mondo delle idee in una scaletta... Un curriculum promuove una falsa semplificazione di ogni soggetto, recidendone le molte interconnessioni e lasciando uno scheletro sequenziale che è solo la caricatura della sua originaria ricchezza e del suo fascino intrinseco.

Il mondo delle idee è ritagliato in territori, assegnati come feudi ad individui che rappresentano questi territori (detti materie), a loro volta questi sovrani e sovrane vi impongono il proprio stile e la propria personalità. L’allievo deve rendere omaggio alla Duchessa di Storia, al Conte di Matematica, e se voi e questi individui non nutrite reciproca simpatia, quasi certamente detesterete gli argomenti che essi controllano, e che portano il marchio della loro personalità. Ogni signore feudale ha il potere assoluto di annoiare, offendere e revocare il diritto di accesso." (Nelson 1990, 1/21) Nelson conclude osservando come le vecchie metodologie d’insegnamento finiscano per annientare lo spirito delle persone, di scoraggiarle dal lasciarsi coinvolgere dalle idee, dal pensare, dall’esplorare, dal coltivare degli interessi. L’aspetto peggiore di questo sistema è convincere ognuno della divisione in materie del mondo, della sua delimitazione in territori invalicabili. Inoltre si finirà per accettare come naturale una gerarchia delle nozioni, con certe da assimilare prima ed altre dopo, nel corso dello studio di una materia. La mente finirà così per riconoscere come necessaria un’impostazione sequenziale nell’ordinamento del pensiero. L’ipertesto dovrebbe liberare la mente da queste costrizioni, sfruttando la somiglianza del suo modo di operare rispetto alle forme proprie del pensiero.

Pierre Lévy prevede notevoli vantaggi dall’utilizzo di un media interattivo a fini educativi: "Si conosce da tempo il ruolo fondamentale dell’implicazione personale dello studente nell’apprendimento. Più attivamente una persona partecipa all’acquisizione di un sapere meglio essa integra quel che ha appreso. Ora, il multimedia interattivo, grazie alla sua dimensione reticolare e non lineare, favorisce un atteggiamento esploratorio, ludico, di fronte al materiale da assimilare. è dunque uno strumento ben adatto a una pedagogia attiva." (Lévy 1991, 50). Lévy ricorda che molti studi sulla psicologia cognitiva hanno dimostrato come la padronanza da parte della mente umana di un qualsiasi campo tematico, implichi un’articolata rappresentazione schematica della materia. Noi comprendiamo e teniamo molto di più le informazioni organizzate secondo relazioni spaziali. Gli ipertesti possono rivelarsi utili in questo senso fornendo molteplici vie d’accesso alla materia e strumenti d’orientamento in forma di diagrammi manipolabili e dinamici. Le vie d’accesso si organizzano in forma reticolare e finiscono per favorire una padronanza della materia più rapida ed agevole rispetto alla carta stampata o all’audiovisivo classico.

 

 

Bibliografia di riferimento:

Fileni, Franco

Comunicazione Cultura Conoscenza. Percorsi sociologici fra naturale e artificiale, Urbino, QuattroVenti, 1992, pp. 166.

Garzotto Franca, Paolini Paolo, Schwabe Daniel

HDM – A Model-Based Approach to Hypertext Application Design, New York, ACM, 1993, (ACM Transactions on Information Systems, Vol. 11, No. 1, Jan. 1993)

Lévy, Pierre

Les technologies de l'intelligence, Paris, Éditions La Découverte, 1990 (tr. it. di Franco Berardi, Le tecnologie dell'intelligenza. L'avvenire del pensiero nell'era informatica, Bologna, Synergon, 1992, pp. 219).

Nelson, Theodor Holm

Literary Machines 90.1, 1990 (tr. it. di Valeria Scaravelli e Walter Vannini, Literary Machines 90.1. Il progetto Xanadu, "Nuovo Millennio", Padova, Muzzio, 1992, pp. 247).

Wolf, Gary

"The Curse of Xanadu", Wired, giugno 1995, pp. 137-152, 194-202.


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