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Simone de Beauvoir nella sua opera “La terza età” del 1970, ritenuta un
caposaldo della letteratura moderna sulla vecchiaia, affronta con un
approccio antropologico-storico la condizione della vecchiaia, approfondendo
due punti di vista: quello esteriore, cioè come la vecchiaia si presenta
agli altri, e quello interiore, cioè il modo in cui la vecchiaia è assunta
dal soggetto che la vive. Nella prima parte viene esposta un’analisi
dettagliata della vecchiaia come fenomeno biologico con conseguenze
psicologiche, e come fenomeno sociale, cioè l’autrice esamina quale ruolo
l’anziano ricopra di volta in volta nelle società primitive, storiche e
contemporanee. Nella seconda parte dell’opera considera la vecchiaia come
fenomeno che ha una sua propria dimensione esistenziale; quindi cerca di
descrivere come l’uomo anziano introietti il suo rapporto col proprio corpo,
col tempo e con gli altri. Quest’opera, che a mio avviso è ancora attuale,
vuole essere una denuncia provocatoria della condizione della vecchiaia
vissuta tuttora con grande difficoltà e con forte rischio di povertà ed
emarginazione in una civiltà che si definisce avanzata. L’analisi storica
che la de Beauvoir fa delle diverse civiltà, da quelle primitive a quelle
contemporanee, ci permette di sottoporre a critica il mito, secondo il quale
in un tempo, non meglio definito, l’anziano viveva una condizione migliore
dell’attuale, perché era amato e curato dalla famiglia, considerato e
rispettato dalla comunità nel suo ruolo di custode della memoria del suo
popolo. Nota l’autrice: “Una desolata enumerazione delle infermità della
vecchiaia la ritroveremo in tutti i tempi, ed è importante sottolineare come
questo tema (nelle opere letterarie) sia ricorrente. Anche se il significato
e il valore che vengono attribuiti alla vecchiaia variano tra una società e
l’altra, cionondimeno essa rimane un fatto extrastorico che suscita un certo
numero di reazioni identiche” . In questa scrupolosa esposizione scopriamo
così che la vecchiaia è stata una condizione infelice, temuta, spesso
vissuta nella miseria più totale, oppure odiata dai discendenti, tanto da
originare comportamenti che oggi non esiteremmo a definire criminali.
Leggiamo con sdegno della sorte di vecchi abbandonati a se stessi dai loro
figli, lasciati morire di fame, maltrattati, oltraggiati da adulti e
ragazzi, e questo non soltanto nelle civiltà primitive a matrice nomade, ma
anche nella società moderna della Francia dell’800. In sostanza mi pare di
poter concludere che l’immagine dell’anziano quale emerge da questo studio è
quella segnata da fattori di tipo economico: l’anziano riesce a garantirsi
una vecchiaia degnamente assistita nella sua fragilità soltanto là dove
possiede un potere contrattuale, che può essere di natura politica o
economica, quando è proprietario di un patrimonio finanziario o culturale,
quando cioè le sue conoscenze divengono fondamentali nello svolgimento di
arti e mestieri che garantiscono la sopravvivenza di un’economia familiare o
sociale. Sono d’accordo con l’autrice quando afferma che “la condizione del
vecchio non è mai una sua conquista, ma essa è tale per concessione altrui…A
seconda delle sue possibilità e dei suoi interessi, è la collettività che
decide della sorte dei vecchi, e questi la subiscono anche quando si credono
i più forti” .
Come abbiamo ricordato, nella seconda parte dell’opera la de Beauvoir
analizza l’immagine che una persona anziana ha di se stessa, come vive il
rapporto con il suo corpo, la sua mente e il suo spirito che man mano
invecchiano. Anzitutto la presa di coscienza che si sta invecchiando o che
gli altri ci guardano con occhi diversi, non è scontata, anzi spesso è
frutto di un periodo più o meno lungo di crisi, di sofferenza, se non
addirittura di angoscia. È necessario rielaborare un’immagine di noi che ci
permetta di rapportarci con noi stessi, con gli altri e con l’ambiente che
ci circonda. L’autrice osserva come “il morale e il fisico sono strettamente
legati. Per eseguire il lavoro di riadattare al mondo un organismo che si
sia modificato in senso peggiorativo bisogna aver conservato il gusto di
vivere”. Una volta preso coscienza che la vecchiaia è sopraggiunta, in un
momento della vita che per ogni persona è particolare, che non si può
fissare con criteri anagrafici o medico-clinici, “il dramma del vecchio è
dato assai spesso dal fatto ch’egli non può più ciò che vuole. Concepisce,
progetta e, al momento d’eseguire, il suo organismo si sottrae; la
stanchezza spezza i suoi slanci; cerca i ricordi attraverso le nebbie; il
suo pensiero si svia dall’obiettivo che si era fissato.” La vecchiaia può
essere vissuta come “una sorta di malattia mentale in cui si prova
l’angoscia di sfuggire a se stessi” . Un altro aspetto individuale
evidenziato dalla de Beauvoir è il rapporto con il tempo, che “non scorre
allo stesso modo nei diversi momenti della nostra esistenza: si fa sempre
più celere a mano a mano che si invecchia… Il paradosso è che questa
infernale velocità non sempre difende il vecchio dalla noia, al contrario”.
Ciò che cambia e condiziona il vivere e il progettare quotidiano di una
persona anziana è la percezione del tempo che le rimane. “L’avvenire
limitato, un passato congelato, questa è la situazione che devono affrontare
le persone anziane. In molti casi essa paralizza la loro attività” . Per
attività si intende tutto ciò che l’anziano mette in opera e tutto ciò che
di sé l’anziano mette a disposizione della comunità sociale, che finisce per
rientrare nel ciclo della produttività inteso in senso lato, comprendendo
anche la produttività sociale.
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